I mitici anni ’90 in Russia

Gli storiografi solitamente dividono la cronaca dalla storiografia, assumendo che i fatti hanno bisogno, per essere valutati come storia, di “sedimentare” per un quarto di secolo. Ciò che sta accadendo oggi in Russia è proprio un rinfrescare e rivalutare tre lustri di dura vita per il paese, iniziati con l’avvento della Perestrojka nel 1985 e conclusisi con l’avvento di Putin. I russi li chiamano “lihie ‘90”, un termine che può essere tradotto come disgraziati, sfortunati anni ’90. Più passa il tempo e più chi li ha vissuti sulla propria pelle li vede come un blocco unico con la breve era di riforme Gorbacioviane. In quella breve, disordinata stagione, i russi hanno vissuto il crollo della produzione, gli scaffali vuoti, le file colossali di fronte ai negozi, gli stipendi non pagati per mesi, la fioritura del mercato nero, la diffusione del banditismo (non è un eufemismo, lo chiamano proprio così) e delle organizzazioni criminali. Animato dalle più nobili intenzioni, il giovane segretario del PCUS intraprese una serie di riforme che portarono a conti fatti al collasso dell’economia e di quell’impero che per metà del novecento era stato un contrappeso fondamentale all’imperialismo a stelle e strisce. In tutta quella epoca che i russi oggi ricordano come caotica ed incerta, Gorbaciov involontariamente ebbe anche il merito di portare il paese ad una transizione senza spargimenti di sangue. Passati vent’anni e sbiadito il ricordo della fame e delle sparatorie oggi molti tendono a ricordare gli aspetti più coloriti di quel tempo, quasi con affetto. Qualche esempio? Le prime rudimentali sale da ballo (non discoteche si badi bene!), improvvisate al sabato pomeriggio in scantinati con un tavolaccio, un apparato stereo simil casalingo ed a scelta birra o gin tonic in lattina, praticamente una bomba chimica. Il fiorire dell’esterofilia e delle mode già presenti da noi in occidente, con un abbigliamento provocante, aggressivo, destante sbalordimento tra i tranquilli pensionati cresciuti nel grigiore sovietico. Tra le altre una versione locale di “tamarri”, i “gopniki”, con l’immancabile coppola, tuta adidas, giubbotto di pelle e vistosi anelli dorati. L’importazione di auto straniere usate di grossa cilindrata, preferibilmente di fabbricazione tedesca.

Le distillerie di vodka clandestine durante il preve periodo di divieto dei superalcolici. L’ aprirsi del paese al cinema holliwoodiano ed alla musica pop e rock occidentale. La libertà, solo rimasta in teoria, di poter viaggiare all’estero. Come disse un cantante russo in una famosissima canzone del periodo, ”Goodbye America, dove non andrò mai”.La riscoperta, a fine ’90, di un orgoglio patriottico, forse a istintiva reazione dopo anni di umiliazioni.  Parallelamente lo sviluppo della musica techno in lingua russa e del “rock russo”.  Insomma un’epoca di anarchia, instabilità e cambiamenti. Ne abbiamo parlato con Oleg Grabko, storico produttore musicale, fondatore di “Bomba Piter”, personaggio noto del panorama culturale di San Pietroburgo:

Oleg, è vero che il ricordo di quell’epoca dopo più di vent’anni è cambiato nelle persone che l’hanno vissuto?

  • Certo, il tempo tende a far sbiadire le cose negative, e a far ricordare quelle positive, soprattutto se a quell’epoca avevi 20 anni.

Concordi sul fatto che a lato degli scaffali vuoti e del default sia stata un’epoca di importanti cambiamenti e di apertura verso nuove libertà?

  • Sicuramente tutto iniziò con l’avvento di Gorbaciov, fino a poco prima con Andropov e Cernenko si respirava un clima poliziesco, nel quale la milizia poteva chiederti che cosa ci facessi per strada invece che essere al lavoro. La Perestrojka fu il punto d’inizio verso un profondo cambiamento nel paese.

Da cosa avete iniziato a capire che nel 1985 ci fossero nuove libertà?

  • Parlando ad esempio del nostro ambito, in Unione Sovietica hanno iniziato ad esserci i concerti rock, cosa fino ad allora inesistente. È vero che gli artisti stranieri invitati portassero un messaggio neutro, come i Deep Purple o gli Scorpions ad esempio, senza allusioni alla rivolta, alle droghe e al sesso; ma in ogni caso fu un’apertura importante. Parlando dei nostri artisti, in quegli anni venne fondato il “Leningradsky Rock club” (in uno scantinato del centro di Leningrado, monitorato perpetuamente e comunque alla fine tollerato dal KGB NDR), l’embrione attorno al quale tutto cominciò.  Tutto nacque in maniera assolutamente artigianale e spontanea. Di lì ai primi anni ’90 ci sarebbero stati cambiamenti che in un paese normale di solito si hanno in mezzo secolo.

Pensi che l’ambito artistico, parlo di musica e cinema, riflettesse i cambiamenti strutturali del paese, o addirittura li incoraggiasse?

  • Sicuramente, la produzione culturale di quei tempi è stato lo specchio della società: l’inizio di un’apertura verso l’esterno, il rielabolare mode estere o trarne ispirazione.

Mi permetto di osservare che molte mode da voi arrivarono quando in Europa erano già sul finire, parlo ad esempio del fenomeno punk, o della musica New Wave o metal. Per non parlare della musica elettronica, spopolata in Russia solo sul finire dei ’90.

  • Certo, ciò che voi avete vissuto spalmato su di un decennio abbondante da noi si è bruciato in due, tre anni. È come se la Russia avesse ripercorso le tappe che voi avete percorso nella seconda metà del ventesimo secolo in un decennio scarso, partendo solo dal 1985. La considerazione si può traslare dal campo musicale a quello dei costumi, dell’etica, della sessualità.

C’è un motivo per il quale proprio Leningrado in quegli anni fu il laboratorio avanguardia del paese?

  • Certo, e non è un caso. Leningrado è sempre stata una città portuale, detto in tutti i sensi. Una città di artisti, nella quale si respira un’atmosfera totalmente diversa rispetto a quella di Mosca, più libera ed intellettuale. Per farvi capire meglio, era molto malvista per esempio da Stalin, che periodicamente ne falciava la classe dirigente.

Oleg, ciò che noi abbiamo saputo nel corso degli anni in Occidente riguardo a ciò che succedesse in Urss era molto frammentato e pilotato, ancora sul finire degli anni ’80 la vita in Russia veniva raccontata come molto “abbottonata” e grigia, ma ciò non corrisponde a realtà. C’è un avvenimento significativo in questo senso?

  • Mi viene in mente il mega concerto del Monsters of Rock al campo dell’aviazione di Tushino, al quale parteciparono i Metallica, gli AC/DC ed altri gruppi stranieri. Tirato su con un’organizzazione approssimativa nei giorni immediatamente seguenti al tentato colpo di stato dell’estate 1991, vide un afflusso record di un milione circa di spettatori. Per le strade di Mosca c’erano ancora le barricate e i carri armati, un’atmosfera da guerra civile. Sembrava impossibile che in quel contesto potesse svolgersi un mega raduno del rock. Ebbene, quel concerto fu come un rito collettivo sulla transizione da un mondo ad un altro: di lì a pochi mesi l’Urss si sarebbe sciolta, e de facto quel giorno era già un cadavere che camminava. Ricordo ancora lo sguardo severo dei membri della milizia su quei giovani capelloni che si dimenavano sulle note di chitarre distorte. Fu come un passaggio di consegne.

Altra domanda, è vero che dopo l’apertura del paese si diffuse l’esterofilia, cioè il considerare tutto ciò che è fatto all’estero come categoricamente più valido? I giornali questi giorni hanno celebrato il trentennale dell’apertura del primo McDonald’s sull’Arbat, dove si formò una fila chilometrica.

  • Sì è vero, tutto ciò che era estero andava di moda. Ricordo la gente che faceva scorte di Coca – Cola, le magliette dei gruppi rock stranieri, o di sacchetti di plastica colorati, cosa che non c’era prima. Direi anche che in Russia c’era più mania in questo senso rispetto ai nostri vicini, penso ai paesei Baltici o alla Polonia.

Mi pare che questa  moda non ebbe vita lunga, verso la fine dei ’90 in Russia si riscoprì un certo spirito patriottico,  ripescando l’orgoglio per la propria storia e la diffidenza verso il luccichio dell’Occidente. Penso ad esempio ai film di Aleksey Balabanov, un regista molto popolare in quel periodo.

  • Certamente, dopo aver scoperto, provato, toccato con mano molte di quelle cose che da noi erano proibite o inaccessibili prima, se ne è venuti a noia. I russi hanno riscoperto l’amore verso il proprio paese. I film di Balabanov, Brat e Brat 2, sono un’icona di quel sentimento.

Oleg, secondo te come i giovani di oggi possono immaginarsi quegli anni? Parlo dei russi che oggi hanno 20 anni, che possiedono un iphone, hanno amici all’estero, vanno in vacanza in Italia, vestono alla moda e guidano automobili con il cambio automatico.

  • Sicuramente sono generazioni cardinalmente differenti, incomparabili. Noi in 15 anni siamo sopravvissuti a due presidenti e due modelli di potere, due crac che hanno portato l’economia al collasso ed il popolo quasi alla fame, ma durante il quale abbiamo anche imparato a sognare. Tuttavia potrei rispondere che sarebbe come se chiedessero a me come potrei immaginarmi di vivere ai tempi del feudalesimo. Mi pare che la gioventù di oggi non si interroghi su questi tempi, e che sia improntata a pensare piuttosto al futuro.

 

 

 

 

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